Arrivo di Erminio.

Erminio tornava da una giornata passata nei campi. Arrivò in taverna e, sedutosi al bancone, ordinò all'oste un bicchiere di vino e del pesce, sperando non fosse andato a male come quello che aveva assaggiato qualche giorno prima. Cominciò a pasteggiare affamato, prestando poco conto al locandiere che ciaccolava coi viandanti. Mentre mangiava, si accorse di un uomo che muoveva lo sgabello a fianco al suo e gli si sedeva in parte, ma stanco e affamato com'era, voleva solo terminare la cena e coricarsi. L'uomo, con gran dispiacere di Erminio, gli rivolse la parola.
"Erminio de' Giambivacchi, presumo"
L'uomo era ben vestito ed emanava un buon odore. Portava con se' una borsa di cuoio, che stringeva al corpo col braccio sinistro.
Dopo aver ingoiato il boccone, Erminio rispose e domandò stizzito, seppur con umiltà, cosa desiderasse l'uomo. Questi, aprì la borsa in cuoio, colma di lettere, e ne diede una ad Erminio: il mittente era Alberto Decimo Bentivoglio: l'invitava a recarsi al Castello Sforzesco. Consegnata la missiva, l'uomo si alzò ed uscì dalla taverna.
L'indomani mattina Erminio partì verso Milano, fino a giungere al castello. Le guardie, all'ingresso tentarono di allontanarlo: mostrò loro la missiva, nella quale riconobbero la firma del ciambellano. Fu scortato fino alla Sala delle Asse.

Benvenuto - disse Alberto al nuovo bibliotecario - seguimi pure nelle tue nuove sale che frequenterai d'ora in poi.
prego ti accompagno nelle sale della biblioteca.